Testimonianze

Ezio De Felice durante tutta la sua vita ha frequentato e incontrato, sia per esigenze professionali che per sue specifiche volontà, alcuni importanti studiosi, artisti e personalità del mondo della cultura che hanno lasciato preziosi ricordi.

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Le sue lezioni all’università, sulla storia dell’architettura, il restauro dei monumenti, l’allestimento e la museografia hanno segnato più generazioni di studenti”. 

In tutto, nel lavoro come all’università, in genere nella vita, Ezio è stato un innovatore, un uomo proteso verso il nuovo, il cambiamento, la sperimentazione.

Nel suo straordinario rifugio, quel teatrino di Palazzo Donn’Anna, ricco già di per se di storia e leggende, (…)  Ezio ha per una vita accumulato ricordi, oggetti, progetti, sogni.

Lui dichiarava di non essere un collezionista, ma un raccoglitore di prodotti artigianali, lei ha voluto realizzare il comune proposito di salvare quegli oggetti.

De Felice amava, infatti, improvvisare le sue lezioni al popolo di “mozzi” che annotava e remava senza protestare mai. 

Ascoltandolo si percepivano due cose importanti: quello che diceva, quel DE FELICE lì, lo sapeva pure e quello che sapeva, lo sapeva pure FARE … anzi lo aveva FATTO!

La sua scrittura diventa così una vasta opera di conservazione, di difesa di reperti del suo umano sentire dalla rapacità del tempo che tutto scolora ed oblitera.

Quella di De Felice è una poesia intesa come teca di stati d’animo, come scrigno di immagini tanto preziose quanto effimere, come valigia a doppio fondo per scene e piccoli drammi che in un lampo si accendono di insospettata comicità.

De Felice è anche soprattutto un collezionista di ferite, ovvero di (…) quelle poesie in cui su tutto prevale un accurato struggente rimpianto per un mondo che non c’è più.
Qui l’architetto prende per mano il poeta, ed insieme vanno.

In molti si divertivano a definire un luogo così straordinariamente unico, sia come contenitore sia come contenuto: laboratorio rinascimentale, atelier romantico, antro alchemico, wunderkammer, e così via. 

Alla base della loro ansia di raccogliere c’è dunque un intento etico: salvare dalla dimenticanza e dalla distruzione per poi donare.

Nel loro progetto c’è come una sorta di riscatto e di rivincita di un mondo, quello del lavoro, che per secoli era stato trascurato dalla cultura cosiddetta ufficiale.

Gli architetti Sbriziolo e De Felice trasmettono una lezione di vita, quale il piacere di conservare e studiare ogni prodotto dell’ingegno dell’uomo, e trasmetterne la conoscenza alle generazioni future.

Con De Felice (…) scompare l’emblema di una scuola di architetti che frequentavano mostre, rassegne e pittori in un sodalizio alla pari, senza barriere, in un interscambio disinteressato di saperi e in un rapporto di reciproca solidarietà ed impegno.

Sono grato a De Felice per l’idea di Museo che mi ha insegnato, non freddo contenitore di dati e reperti ma spazio vitale e creativo e per la lezione di umiltà e di amore che mi ha trasmesso per Salerno ed il Centro Storico.

Del “suo” Museo parlava spesso con tono tra l’ironico ed il serio, ma sempre in modo semplice ed umile; tant’è che i ragazzi, cosa abbastanza rara in questi tempi, lo ascoltavano stupiti ed interessati.
Diceva pure che fare lezione in aula lo intristiva e che i giovani è meglio incontrarli “in cantiere”, perché così essi si divertono “imparando il mestiere”.
“INSEGNARE IL MESTIERE” era per EZIO DE FELICE un punto fermo ed irrinunciabile, e gli studenti ne avvertivano la fondatezza.

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